I testi di Sfera Ebbasta impongono ad orecchie immature contenuti discutibili. E’ ancor più vero in quanto si rivolgono ad una fascia di età particolarmente “influenzabile”.
Sono troppi gli stimoli costruttivi a cui cedere per migliorare sé stessi o per mettersi in discussione; altrettanti sono i messaggi pericolosi che giungono ad orecchie immature incapaci di darne il giusto peso.
I testi di Sfera Ebbasta raggiungono fasce di età in cui si mettono in discussione le antiche certezze familiari per accogliere le più feroci della armi di distruzione delle stesse.
Una strada chiamata vita
I nostri passi iniziano cadendo. Da bambini abitiamo i desideri, i nostri preziosi coloratissimi mondi, ne possediamo l’essenza e ne siamo padroni assoluti ed indiscussi.
Chiudiamo e gli occhi nell’illusione di non esser visti, diventiamo supereroi semplicemente desiderandolo.
Poi iniziamo a camminare, percepiamo le distanze, le introiettiamo, le subiamo, le accettiamo.
Sopraggiunge la disillusione che ogni meta non è sempre alla portata delle nostre manine trepidanti; essa richiede più di un passo, più della semplice bramosia di possederla.
Accogliamo la più tenera delle frustrazioni; ci rassicura la certezza di non essere mai soli anche in una stanza vuota.
La mamma è il caldo tepore della certezza, l’attesa senza inganni, del sorriso che torna dopo un rimprovero.
L’infanzia raggiunge presto la stazione successiva; i piedini scalzi indossano delle sneakers e non temono l’incertezza dell’ignoto. La sfidano.
L’adolescenza e i suoi naturali stridori
L’adolescenza arriva picchettando sui vetri di una finestra opaca.
Piccole stille prima, uragano poi, tanto da urlare ai vetri un’innata fragilità.
Un mondo di colori stridenti, di parole incastrate a fatica, di emozioni senza nome, di equilibri ridiscussi, di mappe sbiadite, di modelli insidiosi.
La mamma resta custode indiscussa, relegata dietro quel vetro fragile, nella speranza di rimediare alle crepe.
Diviene donna da contestare, da riconoscere e svilire nei suoi limiti, da depredare nelle sue scomode e antiche certezze; evanescente quanto una foto impolverata, resta un angelo silenzioso, testimone della più naturale delle crisi.
Una storia come tante con un finale da rivedere
Quel giorno una mamma accompagna sua figlia adolescente ad un concerto. Provo a rivivere la scena di una serata organizzata da mesi, attesa e fantasticata.
In macchina cantano fino a perdere la voce, lasciandone un filo per il concerto. Indossano la stessa felpa, acquistata per l’occasione. Marta (nome di fantasia) ha messo il lucidalabbra rosa per la prima volta, sa che ricorderà la serata, un sentore, una premonizione.
Il papà la osserva dallo specchietto, gli sembra cresciuta in una sola notte; la sera prima si perdeva nel pigiamone lilla e in quel preciso istante, coglie una luce quasi maliziosa nel suo sguardo da bambina.
E’ cresciuta nei suoi occhi rifuggendo lo sguardo dei grandi per il suo candido e sofferto pudore adolescenziale.
Quella sera, più delle altre, Marta ha un viso sereno, felice. La destinazione non è lontana, il faro della discoteca li guida come non avrebbe mai dovuto fare una stella cometa.
L’ingresso, la coda, l’entusiasmo di una serata che sta per iniziare. Le prime note, le urla acute delle ragazzine, le smorfie di disapprovazione e stupore dei pochi adulti presenti.
Cadono le stelle nel fango
L’oscurità accecante di quella notte cerca le sue stelle senza trovarle, si imbatte negli angoli oscuri delle incertezze adolescenziali, rimbalza tra le anime assetate di nuove sfide; le stesse anime che cercano verità assolute e senza censura alcuna, le imprimono con inchiostro indelebile.
“Lasciami il numero e se mi ricordo
magari un domani ti richiamerò
io non lo so cosa ti faccio
però mi cerchi lo so che ti piaccio
sono una merda ragiono col cazzo
oggi ti prendo, domani ti lascio”.
Una generazione tradita
Quella sera, ognuno dei presenti al concerto di Sfera Ebbasta, canticchia il fallimento di un evoluzione storica negata, svilita, mortificata.
D’un tratto cambiano i colori delle stagioni che si avvicendano, si smorzano le attese trepidanti della notte di Natale, si chiudono le porte a chiave.
Senza dubbio alcuno professo la libertà di pensiero; ancor più importante è la consapevolezza che ogni parola proferita e diffusa ha il peso di un inganno che può invadere e adagiarsi in una giovane mente.
Come una particella, nello spazio infinito, dal semplice contatto con una sua simile sarà inesorabilmente mutata nella struttura e nell’esperienza; così un messaggio non ha il valore del suo oblio, ma il peso della sua memoria.
Certi messaggi non cadono nel vuoto
Il passaggio è breve: da mamma adorata, custode delle notti insonni a donna denudata e depredata del suo diritto a donare la vita e a viverla. Il pregiudizio di una generazione che, passivamente, si insidia tra i pensieri per assumere, poi, la rigidità della mentalità adulta.
E’ un seme insidioso che mette radici fino a produrre il più pericoloso dei frutti: lo svilimento della figura femminile, da sempre dramma di una società di uomini che hanno reciso il cordone ombelicale con uno strattone.
Un rimedio al pregiudizio?
Sfera Ebbasta si sente attaccato da tutti i fronti. I suoi testi vogliono raccontare il “disagio” di una generazione senza dei.
Afferma che i suoi concerti, malgrado le parole che non lasciano ad ulteriori interpretazioni, offrono confronti positivi e ludici.
Sfera non si arrende all’etichetta di “mostro” che la tragedia di Corinaldo gli ha “tatuato” addosso.
Propone un’iniziativa, la Family Pack, che consente l’ingresso gratuito del genitore che accompagna il figlio minorenne.
Rimorso o strategia?
Lo scopo? Rassicurare le mamme e i papà e attirare una fascia di età che la sua fama non riesce a raggiungere. Dichiara il trapper:
“Ho pensato di coinvolgere i genitori in modo che possano vedere che nello show è tutto positivo. È un posto dove ci si diverte. Mi sono messo nei loro panni che hanno visto l’idolo dei loro figli, che sono ancora dei ragazzini, additato dai giornali e dalle tv come se fosse un mostro”.
Non ci resta che meditare perché il pensiero è più potente dell’azione quando ci consente di fermarci pochi istanti prima di passare all’azione.