L’ossessione è una gabbia emotiva che ti costringe ad una feroce solitudine; immersi nel virtuale si diventa arte per gli altri, ma non per sé stessi.
Un’esperienza rischia di non essere reale se non immortalata con foto; e questo è tra i preliminari! Per essere vissuta con tutti i suoi “colori” va postata su un social. In base ai like che riceve può essere investita di emozioni di intensità variabile. A pochi metri di distanza, il contatto visivo è mediato da uno smartphone, come uno specchio, una barriera. Allora ci si presenta inviando una richiesta di amicizia senza porgere la mano, né concedendo un sorriso. Esistono le emoticon che traducono le emozioni limitandone ad uno smile stereotipato. E intanto, i nostri neuroni si assopiscono, le emozioni si appiattiscono. Tanti followers e pochissimi amici con cui prendere un caffè!
Un’ossessione per la tecnologia che si traduce in spazi sempre più ristretti di rapporti reali. Una condizione che preoccupa, non poco, i nostalgici dei rapporti reali e gli esperti della comunicazione.
Ossessione che ci condanna alla solitudine
Sono svariate le occasioni in cui artisti di ogni parte del mondo esprimono il malessere di questa società “liquida”. Una di queste è l’Amsterdam Light Festival, uno dei più grandi festival di luci in Europa che si svolge ogni anno dal 2012.










Andando in bicicletta al lavoro la mattina, vedo gente persa nella luce dei loro telefoni cellulari. Sulle panchine, sul tram, nei ristoranti, nessuno si parla più .
L’opera si può ammirare dinanzi all’Hermitage, ad Amsterdam.
